giancarlo-manfredi“Se il clima fosse una banca sarebbe già stato salvato.” (Hugo Chavez)

 … Per giustificare le sue “esuberanti” violazioni al regolamento della Flotta Stellare, il capitano Kirk si è spesso avvalso del principio che prevede come “i bisogni del singolo sono più importanti dei bisogni dei molti“. Un teorema, questo, che ancora oggi viene preso a vessillo di massima libertà, tuttavia non senza qualche “piccola” contraddizione…

Editoriale – Agosto 2013

di Giancarlo Manfredi

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La tesi del capitano Kirk ha sempre riscosso nel suo alter-ego (lo spettatore) un’incondizionata approvazione e non dobbiamo stupircene se è vero che nella nostra cultura l’individualismo gioca sempre un ruolo di primissima importanza.

Questo, nonostante le determinazioni della logica suggeriscano l’adozione di  altre strategie.

Non è infatti un caso quando il blogger Luca De Biase sostiene che “la salvaguardia della consapevolezza della differenza tra l’io e la collettività è una condizione della creatività, della felicità, della sicurezza di una persona; per lo meno per il modo in cui queste questioni sono poste in Occidente.”

Si tratta dunque di convinzioni che però, sul piano dell’etica, qualche controindicazione la comportano: è risaputo, infatti, che ogni dottrina religiosa, sociale o politica che ponga a suo fondamento i diritti dell’individuo ha la “tendenza” a far prevalere in modo “esuberante” gli interessi individuali su quelli collettivi.

Il discorso, certo, è complesso e si basa sulla ricerca di un equilibrio (forse impossibile) tra la rivendicazione dei diritti degli individui nei confronti di ogni forma di potere riconosciuto  (lo Stato o il capitano di un’astronave che sia) e, viceversa, le azioni di tutela che tale istituzione deve porre in atto per garantire i diritti di tutti gli altri individui, ovvero della collettività.

Due visioni in pieno contrasto, la prima che vede la società come coabitazione di individui inclini a realizzare la loro massima soddisfazione, la seconda invece che tende a rappresentare la società come un organismo, che si evolve secondo una diversa logica e nel quale le parti non sono autonome, ma traggono senso e significato dal tutto.

Individualismo e Olismo sono quindi i due estremi, analizzati e discussi da sociologi, (del calibro di Max Weber o Karl Popper), economisti (a partire da Adam Smith) e filosofi (Kant e Locke su tutti) dove il contendere è su quale sia il valore preminente:  l’individuo o la comunità di cui egli è membro?

Così, ad esempio, Toqueville temeva uno Stato paternalistico che arrivava all’eccesso di “imporre” la felicità dei suoi sudditi e Mills sosteneva una sorta di natura interiore dove ogni individuo dovesse essere libero di condurre vite diverse, secondo vocazione, talento e aspirazione.

Ma, a scavare nella bibliografia sull’argomento, la discussione risale a tempi ancora più remoti; il concetto di libertà di scelta individuale contrapposto a quello di sovranità (idealmente) paritaria dell’autorità pubblica si discuteva già per le vie di Atene.

Arriviam quindi idealmente al pensiero greco dove ritroviamo le radici di questa discussione nella scienza del logos, ossia nel pensiero logico, quello di Aristotele per intenderci, caratterizzato dal sillogismo classico (tesi, antitesi e sintesi), la connessione tra due proposizioni per arrivare all’inferenza del giudizio finale.

La stessa logica che, passando per il criticismo kantiano, gli studi matematici di Leibniz e l’algebra booleana, ritroviamo oggi, mutuata, nelle “massime vulcaniane” rese celebri da Spock, altro celebre personaggio della saga pop-stellare di Star Trek.

Un pensiero razionale, insomma, che vede ribaltato il principio con il quale abbiamo iniziato tutto questo discorso, ovvero: “i bisogni dei molti sono più importanti dei bisogni dei pochi. O di uno“.

Ma allora qual’ è la sintesi tra le due posizioni?

Se pure questo esiste, allora dovrebbe essere ricercato nel “Principio della massima felicità” che socialmente corrisponde al maggior utile possibile del più gran numero di individui, ma non esclude da tale ricerca la naturale ricerca della soddisfazione individuale.

E’, in definitiva, una sorta di calcolo razionale del piacere immediato (chi si ricorda il dilemma del prigioniero?) che porta alla limitazione iniziale del punto di vista egoistico, compensata dai benefici a posteriori che l’individuo può aspettarsi dagli altri individui da lui beneficati.

Questo “principio dell’utilitarismo” come sostenuto dal suo ideatore, Bentham, si basa uno strano fondamento etico: a partire da presupposti egoistici si trova la giustificazione dell’altruismo: “La natura ha posto gli uomini sotto l’imperio di due padroni assoluti, il dolore e il piacere. Essi soli ci indicano cosa dovremmo fare e determinano cosa faremo. Al loro trono sono legate da una parte le norme del giusto e dell’ingiusto e dall’altra la concatenazione di cause ed effetti”.

Una logica morale, o meglio un calcolo etico, che risolve (o, almeno ci prova) la contraddizione iniziale e pone l’accento sul calcolo (duale: giusto/ingiusto) di tutte le possibili conseguenze delle nostre scelte.

“La maggior felicità del maggior numero di uomini è il fondamento della morale e della legislazione” recita appunto il  Principio di Bentham e questo, oltre a mettere d’accordo Kirk e Spock, dovrebbe far riflettere elettori e politici, azionisti e amministratori delegati, clienti e venditori, operai e datori di lavoro, consumatori e ambientalisti.

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