febbraio2015-1“Non abbiamo intrapreso le azioni necessarie a ridurre le emissioni perché questo sarebbe sostanzialmente in conflitto con il capitalismo deregolamentato, ossia con l’ideologia imperante nel periodo in cui cercavamo di trovare una via d’uscita alla crisi. Siamo bloccati perché le azioni che garantirebbero ottime chance di evitare la catastrofe – e di cui beneficerebbe la stragrande maggioranza delle persone – rappresentano una minaccia estrema per quell’élite che tiene le redini della nostra economia, del nostro sistema politico e di molti dei nostri media.” (Naomi Klein) – Vogliamo parlare del principio di responsabilità?

febbraio2015-7“Il fare dell’uomo è oggi in grado di distruggere l’essere del mondo.” (Hans Jonas)

Il filosofo Hans Jonas pubblica, nel 1979, la sua opera, “Il principio di responsabilità”, nella quale si sostiene che ogni gesto dell’uomo deve «…prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti nei confronti dell’ambiente, dell’economia, della comunicazione…».

Si tratta di un principio etico fortemente orientato al futuro, tanto dell’essere umano quanto dell’universo, entrambi minacciati dalle conseguenze distruttive di un potere tecnologico mal gestito: «Si prenda ad esempio, quale prima e maggiore trasformazione del quadro tradizionale, la vulnerabilità critica della natura davanti all’intervento tecnico dell’uomo – una vulnerabilità insospettata prima che cominciasse a manifestarsi in danni irrevocabili….»

febbraio2015-6In questa visione il concetto stesso di ecologia viene a modificarsi divenendo funzione del rapporto tra l’umanità e la natura: siamo, appunto, “responsabili” del nostro operato verso la biosfera in virtù della nostra capacità di modificare (sconvolgere forse è il termine migliore) le condizioni presistenti.

E la responsabilità del singolo si estende al genere umano nella sua interezza: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra».

L’etica di Jonas si rifà, insomma, alla migliore tradizione filosofica kantiana e weberiana di “dovere morale”, l’attributo che ci rende autenticamente esseri umani e abitanti del pianeta Terra.

Ancora una volta entrano in gioco i termini come consapevolezza, cultura e memoria collettiva, contrapposti all’azzardo di una scommessa, quella dell’agire senza responsabilità, che ha come posta l’esistenza stessa.

Se possiamo accettare – e non è comunque cosa facile – gli esiti di una calamità naturale, imprevedibile e somma di mille eventi casuali, l’atto insensato, indirizzato verso tutto e verso tutti, diventa in questa visione il male assoluto.

Forse non è un caso se, in ebraico, il termine “Shoah” significhi appunto catastrofe, disastro, distruzione e che Einstein sostenesse come «Il mondo non sarà distrutto da coloro che fanno del male, ma da coloro che rimangono a guardare senza far niente.»

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