“Quelli che rendono impossibili le rivoluzioni pacifiche renderanno inevitabili le rivoluzioni violente.” (John F. Kennedy)Errare è umano, dubitare legittimo e verificare doveroso…

“Al ballo di Complessità
re Informe e regina Incoerenza
qualcuno approfittò del Caos
per uccidere la Differenza
e volle far credere a tutti
che la violenza è estetica
e un gesto d’amore è uguale
a un minuetto, o a una riverenza
fotografi da lontano
scattavano foto audaci
a principesse e principi
falsamente indignati.
Duchi della cultura
adulavano i peggiori
poichè dei migliori
avevano paura.”
(Stefano Benni, “Blues in sedici”)

 

Comprendere il cambiamento non è mai un processo semplice: serve organizzazione e metodo, c’è bisogno di un piano ben preciso e di molta disciplina (oltre che di una buona dose d’umiltà): a bordo dell’Enterprise siamo infatti convinti che i fatti vanno sempre e immediatamente verificati.
Questo che per noi abitanti del XXIII secolo è un assioma, almeno originariamente, era di pertinenza delle redazioni giornalistiche degne di tale titolo ma, nel XXI secolo – grazie alla Rete e alla diffusione capillare degli altri media tradizionali – alla quantità di dati disponibile tramite i classici canali informativi si era aggiunta una rilevante dose di “rumore” tale da rendere complesso e oneroso (e per questo ancora più importante) il lavoro di “Fact Checking” e per questo, inevitabilmente doveva cambiare la struttura gerarchica nelle responsabilità sulla verifica delle notizie, con un coinvolgimento diretto dei cittadini in un’opera di monitoraggio della documentazione che sottostava alle informazioni sui diversi temi componenti il quadro della quotidianità.
Diceva a questo proposito Annamaria Testa, un’autrice dell’epoca: “…i bias cognitivi – in altri termini le convinzioni illusorie che ci facciamo a proposito di un sacco di cose – possono intrappolare chiunque, sia gli esperti sia gli inesperti. Se, da una parte, chi è incompetente di una materia tende a non rendersene conto e a sovrastimare le proprie abilità – è l’effetto Dunning-Kruger: più uno non sa niente di un argomento, non ha vere capacità, più crede di saperla lunga – dall’altra chi è molto competente può peccare di sicumera – il termine tecnico è “overconfidence”- un grado eccessivo di sicurezza sull’affidabilità e la validità delle proprie convinzioni, unito spesso alla tendenza a esser sbrigativi su processi e verifiche.”
Sappiamo, dai documenti storici, che esistevano alcuni “punti di ingresso” per chi avesse voluto iniziare tale percorso di “presa di coscienza” e sempre dai nostri archivi citiamo quale esempio il portale Civic Links , un aggregatore di media dedicato a coloro che si occupavano di informazione (responsabile) e che poneva come cardini i principi di accuratezza, indipendenza, legalità, imparzialità.
Sempre in tema di organizzazione delle informazioni e della loro comunicazione, proprio in quegli anni iniziò la produzione di inchieste partecipate dove i cittadini (e non solo quindi i professionisti dell’informazione) iniziarono ad accordarsi su nuove metodologie per la diffusione condivisa di informazioni verificate e incentrate sui temi di maggior rilievo per la comunità; di seguito iniziarono a nascere apposite piattaforme software per il coinvolgimento in operazioni di reperimento fondi (fund-rising), finanziamento iniziative (start-up) e partecipazione attiva alla politica per arrivare a metodi di consultazione diretta e al raccoglimento di istanze e alla taratura per fasi successiva dei processi decisionali.
In questo, forse per la prima volta nella storia dell’umanità, gli abitanti del pianeta Terra erano aiutati dalla straordinaria disponibilità di dati rilevanti e dalla possibilità di accedere direttamente alle fonti grazie ad archivi di Open Data e a forme sintetiche di comunicazione come le infografiche, ma va peraltro considerato che la disponibilità dei dati non sempre era garantita dalle pubbliche amministrazioni dei diversi Stati che all’epoca governavano l’umanità, ciò in piena violazione al “Diritto alla conoscenza”.
Una conoscenza che avrebbe – evidentemente – potuto evolversi in forme partecipative nella gestione della “res publica”, indifferentemente che si trattasse del bilancio di un’unità abitativa (il database storico linguistico le chiama “condomini” o “arcologie”) o di una nazione: oggi (purtroppo) sappiano bene ciò che avvenne nell’immediato seguito di quel periodo storico  e tuttavia non possiamo non rilevare una scintilla nell’oscurità riconoscendo come, indipendentemente dalle istituzioni, molti cittadini riuscirono comunque , anzi, proprio grazie ai metodi e principi fin qui discussi, a prendere decisioni e ad attivare iniziative di mutuo soccorso, condividendo le soluzioni ai diversi problemi ed evitando in questo modo il ripetersi di errori (generazionali) sistematici…
“Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?
O contare sulla buona sorte?
Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.”
(Bertolt Brecht, “A chi esita”)