CNuK7heWUAAr77Z“Uno dei nuovi elicotteri pesanti del Primo Stormo Corazzato, un Sikorsky che recava le parole Bacio mortale dipinte sulla fiancata, trasportò Mingolla, Gilbey e Baylor dal Formicaio a San Francisco de Juticlan, una cittadina situata all’interno della fascia verde che le più recenti cartine militari definivano Territori Occupati del Guatemala Libero. A est della fascia verde, le stesse cartine riportavano una striscia gialla priva di indicazioni, che tagliava il paese dalla frontiera messicana ai Caraibi. Il Formicaio era una base di artiglieria dislocata sul margine orientale della striscia gialla; da lì Mingolla, un artigliere scelto di appena vent’anni, sparava cannonate in una zona riportata sulle mappe con segni topografici in bianco e nero. Per cui spesso Mingolla si considerava impegnato a salvare il mondo per i colori primari.” (Lucius Shepard, Settore Giada) – E adesso dite: qual è il vostro colore (o, se volete, lo stato emotivo) dominante di questi tempi?

 

Aftershock-006“Shock e awe (sgomento) sono azioni che generano paure, pericoli e distruzione incomprensibili per la popolazione, per elementi/settori specifici della società che pone la minaccia, o per i leader. La natura, sotto forma di tornado, uragani, terremoti, inondazioni, incendi incontrollati, carestie ed epidemie, può generare Shock and awe.” (Shock and awe: Achieving Rapid Dominance)

 Nel suo libro “Shock Economy”, la giornalista canadese Naomi Klein sostiene come sia possibile ottenere il consenso popolare attraverso l’esposizione a situazioni di stress, improvvise e intense: si tratti di calamità naturali o di eventi provocati ad arte, l’effetto collaterale è l’accettazione di politiche cosiddette “emergenziali” che, con la giustificazione del momento “eccezionale”, possono arrivare (oltre che al trasferimento delle ricchezze sociali nelle mani avide di organizzazioni private) a prevedere la riduzione delle libertà, individuali.

Purtroppo, al giorno d’oggi una simile esposizione mediatica è cosa estremamente difficile da evitare, a meno di non vivere in una valle isolata dal mondo ed è per tale ragione che sempre più percepiamo un quotidiano emergenziale, sorta di incubo collettivo che non prevede risveglio.

11933479_10153536293342866_4570821328051595943_n

“L’esposizione mediatica dell’orrore è già oggi un format, serve le cause più diverse. Come molecole iniettate in vena simili contenuti sono sottoposti alle leggi della tolleranza farmacologica. Ed esattamente come avviene con i farmaci nel tempo, aumentando la dose, l’effetto si riduce. La foto del bambino sulla spiaggia è una dose da cavallo. Come tutti i poveri tossici nemmeno ce ne siamo accorti.” (Massimo Mantellini)

In questo contesto molto dipende dalla narrazione (emotiva) che permea le reti comunicative.

Perché la nostra razionalità, ahimè, segue l’istinto e l’emotività, e solo raramente riesce a prenderne il controllo: il più delle volte serve solo a trovare giustificazioni a posteriori per scelte (o per non-scelte).

Manipolazioni sono pertanto sempre possibili e non mancano prove scientifiche, più o meno neutrali, a comprovarne la veridicità.

Senza scomodare il famoso sociologo Milgram ancora nel 2012 l’azienda che sta dietro a Facebook ha condotto un esperimento psicologico sulle emozioni all’insaputa di 700mila utenti del famoso social: seguendo le indicazioni dei ricercatori, un algoritmo informatico nascondeva automaticamente le parole o le immagini legate a stati d’animo, negativi o positivi, mentre i ricercatori registravano le reazioni degli utenti e, a conclusione dell’esperimento il risultato è stato che: “Le persone a cui è stata ridotta la quantità di contenuti positivi nel news feed hanno cominciato a scrivere più frasi dal tono negativo e meno parole positive. Quando la negatività è stata ridotta, il modello si è invertito”.

11800440_1064007083609732_3930817981829360619_n

L’emergenza è una trappola (vera, certamente, non inventata) che fa comodo a molti perché limita il raggio delle scelte e impone reazioni semplici volte alla risposta immediata ad un bisogno e alla sopravvivenza; crea dipendenze e limita la crescita. […] Perché le crisi sono anche grandi zone di comfort, rischiano di generare un benessere percepito e utile a qualcuno -ma irreale-, qualora non siano comunque così devastanti da distruggere tutto.” (Giulio Sensi)

A tutto questo si aggiunge, “ciliegina sulla torta”, la sempre più marcata percezione sul fallimento delle regole di convivenza: è il perfetto contesto che genera comportamenti di natura egoistica.

Tornando alle emergenze, oggi sempre più vicino è il momento critico del “Si salvi chi può!” e risulta  facile essere profeti: manipolando il flusso narrativo (e quindi le emozioni generate dagli shock)  si altera la nostra percezione della realtà, quel colore che permea le nostre giornate, e si alimentano invece comportamenti egoistici, di sfiducia verso i valori collettivi e quindi di accettazione dell’autoritarismo.

 

city_roofs_by_llamllam-d7m907i“Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure” (Italo Calvino)

Soluzioni semplici a problemi complessi non esistono, è banale, tuttavia già il riconoscimento di una condizione di “patologia” sociale è un primo passo.

Dovremo lavorare però, su di noi come sulla realtà e dare maggiormente retta a quella narrazione che si fonda sul bene comune: valori come giustizia, lealtà, generosità sono l’equivalente (dei colori) di una scialuppa di salvataggio.

Ce la faremo?

rescue