“L’economia del futuro è piuttosto diversa: il denaro non esiste nel XXIV secolo, l’acquisizione della ricchezza non è più la forza motrice delle nostre vite. Noi lavoriamo per migliorare noi stessi e il resto dell’umanità.” (Jean-Luc Picard, capitano dell’Enterprise)Sostiene il sociologo Davide Bennato che “la rete NON è automaticamente un luogo più democratico di altri, poiché la rete è un prodotto sociale e la società NON è naturalmente democratica.” tuttavia, in tempi di crisi e di risorse sempre più limitate, il ricorso alla Net-Neutrality e alla Sharing Economy non dovrebbe essere ritenuto soltanto pura utopia…

Partiamo da una considerazione, che la scarsità “naturale” di beni o servizi è sovente portata a pretesto per legittimare politiche non neutrali.Questo non è un assioma teorico: prendiamo ad esempio la Rete e nel dettaglio il problema che attiene alla scarsità di banda fissa e al limite delle frequenze per la banda mobile: basta fare qualche semplice ricerca d’archivio per scoprire che – almeno in Italia – si tratta di una vicenda collegata alla indisponibilità verso gli investimenti in infrastrutture da parte degli operatori da un lato e alla difesa di privilegi oligarchici dei canali televisivi dall’altra.

Ma il problema è diffuso, sicuramente a livello europeo, probabilmente a livello mondiale (dove tuttavia insistono anche dinamiche censorie).Così, ad esempio, perchè stupirsi se scopriamo come l’azienda Deutsche Telekom voglia introdurre restrizioni nel traffico internet per le famiglie abbonate al fine di contenere la quantità di banda consumata dai sottoscrittori, lasciando tuttavia invariata l’usabilità del suo servizio televisivo.Al di la della palese violazione del principio di net-neutrality (nonchè di quello sulla concorrenza nei confronti di servizi concorrenti come YouTube, iTunes, Facebook, etc…), si tratta di un tentativo per sondare il terreno ed eventualmente per “spostare il limite dell’ammissibile un po’ più in la”.

Questo in piena controtendenza alla richiesta di democrazia partecipata e alla necessità di superare un periodo di crisi in un momento storico, quello di inizio XXI secolo dove si iniziano a riscoprire e si sperimentano forme di economia quali il riuso, la gratuità, il dono, ovvero il cosiddetto “consumo collaborativo“.

Sharing Economy non è però un termine ad indicare una nuova tipologia di consumismo (leggermente più sostenibile), ma uno spostamento vero e proprio da un paradigma della proprietà di beni verso uno della condivisione dei servizi.

Va da se che un simile approccio all’economia planetaria, oltre ad offrire i vantaggi della proprietà non negata comporta peraltro significative riduzioni di costi e, nel contempo, di impatto ambientale.

Così si va dal bike/car sharing alla condivisione peer-to-peer, dal regalo (con esempi come Freecycle o Kashless) allo scambio (per brevità cito ThredUP e Swaptree), alle aste dell’usato online (quali eBay e Craigslist).

La Rete quindi gioca un ruolo essenziale (e forse per questo avverso dalle entità che in questa partita giocano un ruolo conservatore), ma non si tratta di attività unicamente digitali: dal co-working (attraverso il quale le persone condividono gli spazi di lavoro) al guerrilla gardening (attività che mira alla riqualificazione delle aree urbane abbandonate) alla banca del tempo (nella quale la merce di scambio non è su base monetaria ma fondata sul tempo messo a disposizione).Il filosofo Jean-Jacques Rousseau vedeva come “L’uomo [fosse] nato libero e dappertutto [fosse] in catene” per una serie di meccanismi che generavano schiavitù economica: oggi grazie alla Rete le “quattro R del commercio sostenibile” lRidurre, Riutilizzare, Riciclare, Riparare) possono guadagnare una quinta dimensione, quella della Redistribuzione.Un’utopia che genera timore? Forse è vero al punto che spesso temiamo ciò che non riusciamo a capire, ma certo la miglior difesa, in molti casi, è la conoscenza…