lovemankind“For every bridge you build together with your community of readers, there’s a new set of trolls who sit underneath it.”

Immaginate di scoprire una provocazione, scritta con la vernice su di una delle linde paratie dell’Enterprise e di realizzare che il sistema di sicurezza ha registrato unicamente una figura incappucciata e con una maschera a coprirne le fattezze del viso.

Il problema dell’anonimato e del controllo è certamente antico, da sempre gli uomini hanno celato la loro identità sia per compiere azioni criminose che per sfuggire alla repressione di governi dittatoriali: dalla maschera di zorro al passamontagna dei rapinatori, passando per le fattezze beffarde di Guy Fakes.

Tuttavia la migrazione del fenomeno, dalle piazze delle città alle piazze virtuali di internet ha riproposto, drammaticamente, l’ambivalenza del problema.

Così ci ritroviamo da un lato l’anonimato delle false identità che consente di esternare in tutta sicurezza (e vigliaccheria) l’odio – che è in massima parte represso dai vincoli sociali nella vita reale – verso chi è percepito diverso per ideologia, religione, stile di vita, sessualità…

E, dall’altro, la tentazione mai sopita da parte dei governi di controllare i pensieri del popolo, nel nome della sicurezza da aggressioni esterne e soprattutto contro un fantomatico nemico interno, una instabilità sociale talvolta provocata ad arte.

E’ interessante vedere come lo strumento tecnologico di comunicazione sociale del XXI secolo ha esasperato i due aspetti (le due facce della stessa medaglia?) evidenziando una situazione al di fuori di ogni controllo.

Ma la soluzione è semplicemente un problema normativo o, piuttosto, si tratta della necessità di un’evoluzione etica?

Confrontandosi sui social network molte persone tendono a dimenticare che la sanzione di alcune categorie di discorso, chiaramente definite, non solleva alcun problema costituzionale: parliamo di volgarità e oscenità, di calunnia e insulto, insomma di tutti quei discorsi che rientrano nell’incitamento all’odio.

Hate speech“, questo il termine ufficiale di tutte quelle espressioni utilizzate nella provocazione degli scontri verbali, ingigantite dalla sicurezza dell’anonimato e dalla lontananza fisica.

Oggi, grazie all’analisi statistica dei messaggio che percorrono i social network, le mappe dell’odio sono tracciate in tempo reale e suscitano in noi una grande inquietudine: non è l’innata belligeranza di due tribù che si contendono l’acqua di un ruscello o il terreno di caccia, o nemmeno quella di due individui che si confrontano per il potere, la ricchezza (o una donna), bensì un fenomeno di pressoché nulla utilità sociale, che sia ai fini della determinazione delle ragioni e dei torti.

Insomma trovarsi di fronte ad un “troll” è talmente deleterio che qualsiasi risultato della discussione sarebbe inibito dall’incapacità di ascoltare, ragionare, accettare nuove idee, convincere o essere convinti, mediare e sintetizzare.

Servono nuove leggi e nuovi strumenti di controllo?

Assistiamo in questi anni al ripetersi di scandali, presunti o veri, sull’abuso delle intercettazioni, da parte del potere giudiziario come del potere esecutivo di nazioni che si vorrebbero “democratiche”, un controllo capillare che le tecnologie consentono ormai capillare, la cui liceità dovrebbe invece essere sottoposta al continuo vaglio di organi preposti.

Probabilmente serve una maggiore assunzione di responsabilità, dei singoli utenti quanto dei moderatori, dei gestori  del servizio, dei provider e dei governi esecutivi; serve soprattutto un adeguamento nella comprensione del sistema da parte del legislatore, onde  evitare provvedimenti forzatamente repressivi delle libertà d’espressione e. d’altro canto, di lasciare spazio all’anarchia completa, il regno preferito di tutti gli estremisti più fanatici e deleteri.

Il caos, purtroppo, conviene tanto ai più viscidi troll (e terroristi, neonazisti, hacker/cracker) quanto ai malevoli (e deviati) servizi di sicurezza asserviti a poteri dittatoriali e questo è un’ottimo motivo per non abbassare mai la guardia, divenendo anzi  parte attiva nella creazione di una autocoscienza collettiva…

“Sono convinto del fatto che sia possibile regolamentare (non reprimere) la volgarità e la violenza della comunicazione sui social network.” (Roberto Saviano)

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