1381521486-1“Il pentimento è il fermo proposito di non lasciare tracce la prossima volta” (Marcel Achard)  – Come vi sentireste ad essere l’ultimo della vostra gente? E quali sentimenti provereste nei confronti dei responsabili di un genicidio?

La narrativa fantascientifica, romanzesca prima ancora che cinematografica, ha sondato più d’una volta l’abisso oscuro del genocidio – riportandolo su scala planetaria e imputandolo ad alieni cattivissimi – per affrontare, nella realtà, uno degli aspetti meno (diciamo) lusinghieri della razza umana.

Parlando infatti di “alieni” non sarei del tutto certo se sia lecito parlare di “disumanità”, quando nel corso della Storia terrestre non è mai mancata la volontà di annientamento totale nei confronti di chi si reputava inferiore.

Primo Levi, tanto per citare un esempio non troppo distante nel tempo, riporta (“I sommersi e i salvati”) come i soldati delle SS ricordassero cinicamente ai prigionieri che “In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà […] E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti”.

Oggi, grazie alle mille contraddizioni di un negazionismo, strisciante nelle teste (di legno) dei neo-nazisti prima ancora che nelle menti (perverse) di chi fa della ricerca storica uno strumento di revisione politicizzata, stentiamo a capire cosa significhi sopravvivere ad una Apocalisse.

Tra teste rasate e saluti romani,  implabili cacciatori di SS e testimonianze racchiuse solo più  nei musei, arriviamo a dubitare persino dell’esistenza di una tale possibilità, relegandola piuttosto alla mitologia, alla favoletta hollywoodiana de “L’ultimo dei Mohicani”.

enterpriseE ancora, se persino la saga stellare più ottimista, quella di Star Trek (chi non si ricorda del personaggio di “Kodos il carnefice” nell’episodio “La magnificenza del re“) racconta di odi razziali inestinguibili e di giuramenti di vendetta sempiterni, come potremmo noi uomini del XXI secolo superare queste contraddizioni, nient’affatto extraterrestri?

Forse con un po’ di onestà, di senso della giustizia e di compassione?

Non saprei dire se alla fine della nostra vita ci attenderà un giudizio giusto (e ben più oggettivo di qualsiasi Norimberga possano mai mettere in piedi gli uomini) come quello sostenuto dalle grandi religioni  fin dal tempo degli antici egizi, ma certamente sopravvivere al proprio mondo è una condanna, come pure dover rendere conto delle proprie responsabilità e avere una coscienza.

Funziona veramente il meccanismo psicologico della “rimozione“?

Ognuno di noi, dopotutto, è una sorta di isola (anzi di pianeta) e, non a caso, lo scrittore Italo Calvino sosteneva  come  “il cosmo può essere cercato anche all’interno di ciascuno di noi, come caos indifferenziato, come molteplicità potenziale”.

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