geo-engineering-007«Così continuiamo a remare,
barche contro corrente,
risospinti senza posa nel passato»
(Francis Scott Fitzgerald)  –  Oggi vi presentiamo un interessante volume che affronta le tematiche sulla “Crisi ambientale globale”

 

 

crisi-ambientale-locale-2Giovanni Rantucci è un geologo che ha girato il mondo per più di 40 anni ed è stato protagonista in eventi tanto spettacolari quanto disastrosi, dall’eruzione del vulcano Pinatubo al terremoto di Kobe; da questa vita di ricerche sul campo e di testimonianze dirette nasce un libro, “La crisi ambientale globale”, che riassume una visione, quella sulla crisi ambientale che riguarda un intero pianeta. Il nostro pianeta.

Professore associato, consulente per le Nazioni Unite in progetti sulla cooperazione nei paesi in via di sviluppo, infine funzionario della Farnesina, Giovanni Rantucci è l’autore di saggi quali “The geological disaster in Philippines” e “The Kobe earthquake” (disponibili in lingua originale su Amazon ), ma quella che vi segnaliamo oggi è la sua ultima pubblicazione, dal titolo originale di “The global enviromental crisis”, un testo che abbiamo avuto la possibilità di leggere nell’anteprima italiana, che sarà a breve disponibile al pubblico sui maggiori portali editoriali.

E’ un manuale che si legge facilmente, ma si tratta pur sempre di una pubblicazione a livello universitario, un corso completo che parte dall’analisi dei servizi forniti dall’ecosistema per arrivare a discutere di cambiamenti climatici, di sviluppi storici e di transizioni di modelli socio economici.

Grafici, tabelle, diagrammi, dati tracciabili e fonti verificate ci portano ad un quadro, quello del mondo attuale, dove l’unico obiettivo possibile è l’adozione di uno sviluppo sostenibile, basato su modelli di riferimento per la consapevolezza, la transazione e se possibile il controllo globale di tutti i meccanismi in grado di influenzare (o meglio scombussolare) i complessi equilibri planetari.

Pertanto preparatevi ad un viaggio che inizia dal Big Bang – per comprendere la complessità dell’odierna biosfera – e passa attraverso lo studio dei fattori naturali e antropici determinanti dei cambiamenti climatici, affronta una sintesi storica dell’economia per arrivare ad una serie di scenari di riferimento per il XXI secolo.

Progetti di infrastrutture, innovazioni energetiche e, soprattutto, una rivoluzione culturale sono tra le soluzioni proposte nel dettaglio quale via d’uscita da una situazione che si avvicina sempre più al punto di non ritorno.

Astronomia e fisica planetaria, geologia, ma anche etica applicata all’economia, diritto internazionale e cooperazione, gli argomenti trattati fanno del volume una lettura non facile, ma illuminante, professionale dunque, ma capace di far crescere la consapevolezza del lettore su di un tema meno astratto di quanto pensiamo.

Una seconda edizione del saggio, nella versione internazionale, è in fase di arrivo e sarà pubblicata da Amazon a Ottobre 2013, mentre è già possibile ordinarne l’edizione italiana (al costo di 16 € spedizione compresa) contattando direttamente l’autore alla casella e-mail: giovanni_rantucci (at) yahoo.com

Per altre informazioni vi rimandiamo al sito internazionale dell’autore.

Appendice (a cura di Giancarlo Manfredi)

global-crisisIspirata dalla lettura de La crisi globale ambientale, ecco una breve sintesi delle ultimissime novità sul fronte degli eventi climatici, tratta da una serie di articoli usciti sul web a seguito del disastroso tornado che ha sconvolto la cittadina di Moore negli Stati Uniti.

Si parte da un articolo del National Geographic sullo stato dell’arte della scienza previsionale nel campo della metereologia.

I dati di riferimento, di fonte Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), pur essendo significativi e completi, non consentono infatti alcuna affermazione definitiva pro o contro l’ipotesi di un aggravemento degli eventi meteo estremi.

Peraltro, per la stagione 2013, proprio il centro meteo della Noaa ha previsto con un 70% di probabilita’ la formazione di un minimo di 13 a un massimo di 20 tempeste con venti oltre 62 miglia all’ora, (sono quelle a cui viene dato un nome): di queste, da 7 a 11 potrebbero diventare uragani (con venti oltre 120 chilometri orari).

Degli uragani da tre a sei potrebbero essere di forte intensita’ (di categoria 3, 4 o 5) con venti da almeno 178 chilometri all’ora: la stima della Noaa e’ pertanto superiore alla media stagionale di 12 tempeste, 6 uragani e 3 forti uragani e si aggiunge a quella analoga di altri otto centri meteo indipendenti.

Tre fattori climatici diretti contribuiscono a queste previsioni: il proseguimento del modello atmosferico degli ultimi anni che include un forte monsone africano e che e’ responsabile dell’aumento degli uragani dal 1995; temperature dell’acqua superiori alla media nell’Atlantico tropicale e i Caraibi; l’assenza di El Nino con la sua azione che tende a contrastare la formazione delle tempeste.

Ma dietro questo quadro sempre più insistentemente si inizia a considerare la presenza “ingombrante” del fattore di correlazione con il riscaldamento globale da gas serra.

Pochi giorni fa (esattamente il 9 maggio 2013) l’osservatorio del vulcano Mauna Loa alle Hawaii ha registrato il livello record di 400,03 ppm di Co2 atmosferico.

In realtà il NOAA pubblica giornalmente la curva di Keeling, grafico che riporta l’andamento della concentrazione della CO2 atmosferica a partire dal 1958. (appunto l’ anno in cui lo scienziato americano Charles Keeling iniziò le rilevazioni in due località scelte per la loro distanza dalla contaminazione e polluzione delle città: il polo Sud e il vulcano di Mauna Loa nell’Oceano Pacifico; in realtà al giorno d’oggi le misurazioni delle concentrazioni di gas serra in atmosfera vengono effettuate giornalmente in circa 100 stazioni dislocate in tutto il mondo).

Negli anni ’50, non vi era riscontro se la CO2 emessa durante la combustione dei combustibili fossili – carbone, petrolio, gas naturale – finisse nell’atmosfera o venisse totalmente assorbita dagli oceani e dalle foreste.

La serie storica delle misure ha dimostrato che il livello di CO2, misurato in ppm(v) – parti per milione in volume – è costantemente aumentato nell’aria, passando da 315 ppm nel 1958 = 315 molecole di CO2 per un milione di molecole di aria, a 378 nel 2005 e a 400 il 9 maggio 2013.

Non solo: le analisi effettuate con carotaggi sui ghiacci polari e sui sedimenti marini, hanno mostrato che il livello di 400 ppm era già stato raggiunto in precedenza sulla Terra, ma si parla del periodo geologico del tardo Pliocene, fra i 2,6 e i 3,6 milioni di anni fa. Il Pliocene è l’epoca in cui il clima era diventato abbastanza simile a quello di oggi, con una temperatura mediamente più alta di circa 2°-3° e il livello del mare più alto di 25 m.

Non è un caso se gli scienziati del programma “European Ice2sea”, affiancati da studiosi della “Scientific Atlantic Survey” e da docenti dell’Università di Bristol, hanno recentemente tentato di fare una stima circa l’impatto dello scioglimento dei ghiacciai di Groenlandia e Antartide sulla costa britannica: utilizzando un parametro medio di cambiamento climatico hanno stimato che lo scioglimento possa determinare una forbice di valori di innalzamento del livello mare che va dai 3,5 cm ai 36,8 cm di aumento globale entro il 2100, considerando però che un generale innalzamento della temperatura del mare ne comporta anche un aumento del volume, influendo ampiamente sul suddetto valore stimato e portandolo a valori che potrebbero sfiorare i 69 cm.

Ora, va detto che i nuovi modelli climatici applicati alle serie storiche e ai più recenti dati disponibili tenderebbero a escludere gli scenari più catastrofici legati al riscaldamento globale, che prevedevano un incremento delle temperature globali medie fra 2,2 e i 4,7 °C; l’aumento dovrebbe infatti essere contenuto fra 1,2 e 3,9 °C sempre che i tassi di emissione dei gas serra scenderanno in maniera significativa.

Entrano poi in gioco considerazioni che derivano da situazioni geomorfologiche su piccola scala: ad esempio è noto che durante i mesi estivi si attivano fenomeni di tipo convettivo, i quali, avendo una limitata estensione orizzontale mettono “in crisi” previsioni meteorologiche di tipo puntuale.

Siamo nell’ambito di quella che si chiama meteorologia a microscala, lo studio dei fenomeni atmosferici dell’ordine del chilometro, come le celle temporalesche, le trombe d’aria le nubi, la dispersione di inquinanti in sede urbana e la turbolenza.

Esiste infine la mesoscala che studia i fenomeni atmosferici che hanno scale orizzontali variabili dai 10 ai 100 Km e scale temporali da qualche ora alla settimana; rientrano in questi casile linee di groppo temporalesche, i fronti per arrivare ai cicloni tropicali ed extratropicali.

I parametri che portano all’individuazione di situazioni che generano l’innesco di fenomeni estremi sono di natura “complessa” e dipendono (da qui la definizione di evento caotico) da un numero elevatissimo di variabili ambientali locali (morfologia del territorio, irraggiamento, vento e umidità).

E ormai chiaro a tutti che una stessa (apparente) configurazione può arrivare produrre effetti diversi al di la delle tecniche (situazione sinottica prevista dai modelli di simulazione, esami di radiosondaggi e diagrammi termodinamici, stima dello sviluppo e dello spostamento delle strutture dei corpi nuvolosi attraverso le immagini satellitari e radar;) che attualmente possiamo mettere in campo.

La discussione quindi rimane aperta, sebbene una certezza possiamo già metterla in campo: sempre più si dovrà giocare sulla previsione, prevenzione e preparazione delle comunità civili…