“Quando qualcuno mi chiede: «A che cosa serve l’astronomia?» mi capita di rispondere: anche se non fosse servita ad altro che a rivelare tanta bellezza, avrebbe già giustificato ampiamente la sua esistenza.” (H. Reeves)
La notizia che vi proponiamo oggi, proprio nel giorno dedicato al nostro pianeta, è il nuovo risultato del satellite Kepler della Nasa: sono appena stati rilevati i due pianeti più simili alla Terra tra quelli finora osservati. Tuttavia tra sprechi e nuovi disastri c’è poco da festeggiare: ma uno sviluppo sostenibile  – piuttosto che l’emigrazione verso altri pianeti – è mai possibile?
Il satellite Kepler, nel corso della sua storia operativa iniziata nel 2009, ha permesso l’identificazione di 2756 pianeti candidati – dei quali 844 confermati e 351 di taglia “proporzionale” alla Terra – misurando l’indebolimento della luce di un astro quando il presunto pianeta gli transita davanti.
In realtà gli astronomi dall’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics stimano che nella nostra galassia siano “non meno di 17 miliardi” i pianeti orbitanti attorno ad altre stelle.
Ora Kepler ne ha trovato addirittura cinque attorno alla stella Kepler-62 (che è di classe M come il nostro Sole), dei quali due hanno attirato l’attenzione perché orbitano a quella ideale distanza in cui possono ricevere la dose giusta di radiazione e l’acqua presente eventualmente in superficie può mantenersi allo stato liquido favorendo le condizioni della vita per come la conosciamo.
Probabilmente era solo questione di tempo affinchè la visione geocentrica, che ancora serpeggia in alcune culture votate al fanatismo, venisse definitivamente smentita.
Questo non ci consola da tutta una serie di contraddizioni che prima o poi esploderanno, dalla dissennata dipendenza dagli idrocarburi allo sfruttamento insostenibile delle risorse alimentari alla inequa distribuzione delle ricchezze che divide il mondo tra chi non ha cibo e chi lo getta in pattumiera.
Diversa, per tornare allo spazio, la questione sulla possibilita’ di scoprire vita e soprattutto vita intelligente e in grado di comunicare con noi: ne sappiamo troppo poco e il ragionamento puo’ solo spaziare tra un atto di fede e un freddo sillogismo con, nel mezzo, paradossi e teorie piu’ o meno serie; Carl Sagan ne era convinto della vita altrove: “Altrimenti l’universo – avrebbe detto –  sarebbe solo un enorme spreco di spazio“.Da quel che ne sappiamo al momento, tuttavia, le distanze in termini di spazio tempo sono enormi e qualsiasi forma di comunicazione della quale siamo al corrente non sarebbe molto funzionale.

Sfortuna?

Non necessariamente: Stephen Hawking (pensando probabilmente all’esito, fatale per i nativi, dell’arrivo dei Conquistadores spagnoli nelle americhe) ritiene comunque che un primo contatto potrebbe non essere necessariamente un bene.

Forse, e al momento lo devo ammettere con tristezza, abbiamo problemi molto piu’ concreti al punto da temere per la nostra sopravvivenza come civilta’ nel medio-lungo periodo.
Saremo stupidi? Saremo intelligenti. Chissa’, forse al primo volo a velocita’ di curvatura ne sapremo qualcosa di piu’…