Cloaking_device_distortion“Le gravi catastrofi naturali reclamano un cambio di mentalità che obbliga ad abbandonare la logica del puro consumismo e a promuovere il rispetto della creazione.” (Albert Einstein)  – Ad esempio, può la tecnologia open (dall’Internet agli smartphone passando per i Social Network) aiutarci a salvare (ma leggete qui il termine “rivoluzionare”) il mondo ?

Probabilmente non ci abbiamo mai ragionato veramente sopra, ma il termine rivoluzione è mutuato direttamente dal linguaggio dell’astronomia, dove sta a indicare “il moto di un corpo celeste intorno al suo centro di gravitazione”.

acquariusA bordo dell’Enterprise, in orbita rivoluzionaria attorno al pianeta, ci siamo sempre chiesti se fosse un caso, almeno parlando della storia umana, poiché è necessario risalire ai tempi e al pensiero filosofico della Rivoluzione Francese (verso la fine del XVIII secolo) per trovare il significato politico del termine inteso quale “rottura radicale dell’ordine sociale tradizionale” .

Poi, va da sè, tra corsi e ricorsi, tra tragedie e farse, la Storia moderna e contemporanea del pianeta Terra ha visto il susseguirsi di così tante rivoluzioni, alcune di effettivo impatto, altre più che altro “millantate”.

Oggi, e siamo nell’era della tecnologia, gli abitanti del pianeta hanno a disposizione indubbie soluzioni che sembrerebbero in grado di risolvere le complesse contraddizioni sociali e ambientali.

Eppure le domande che vengono sollevate sono sempre le stesse: può una tecnologia aiutare a cambiare il mondo, a trasformare il modo di relazionarsi, a rendere più democratico l’accesso all’informazione, a migliorare l’educazione delle nuove generazioni senza alcuna distinzione di censo, razza, cultura e provenienza geografica?

Roboanti sono gli articoli sulle potenzialità rivoluzionare della tecnologia: un tocco al display “et voilà, magia!” che si parli di Primavera araba o di una start-up nel continente africano.

Purtroppo quella stessa realtà, così immaginifica, accade poi rivelarsi molto meno accattivante di quanto vorrebbero raccontare i pubblicitari e diventa allora questione aperta se le nuove tecnologie siano “proprio” in grado di apportare cambiamenti così epocali quali quelli richiesti dalle sfide contemporanee.

La chiave di volta del discorso deriva dal termine “complessità”.

Un dominio difficile, non dico da governare democraticamente, ma anche solo da esplorare liberamente: a suon di intercettazioni, di truffe e di sfruttamento economico, la Rete delle reti, intesa come territorio libero dell’innovazione, è sempre più un lontano ideale utopistico.

Non a caso il secondo termine chiave del discorso è:  “consapevolezza culturale diffusa”.

Seguito di misura dal concetto di “equilibrio”:  ci muoviamo infatti tra concetti antagonisti quali copyright e privacy,  trasparenza e riservatezza, diritto e normativa, proprietà e condivisione.

Così, se il possesso della capacità tecnologica è sempre stato considerato quale indiscussa fonte di potere (economico, politico o militare), nel XXI secolo accade che una rete diffusa e una infrastruttura low-cost in grado di connettere le zone più remote del pianeta sembrerebbe cambiare le carte in tavola.

Va ricordato – e non è un caso – che è proprio di questo periodo il concetto che l’accesso a un’informazione libera e indipendente debba rientrare tra i diritti universali dell’uomo.

In realtà le statistiche economiche dell’epoca smentivano, tristemente, una tale idea rivoluzionaria riducendo semmai la tecnologia disponibile ad uno dei tanti elementi del complesso sistema planetario.

A mancare sono piuttosto dei modelli di utilizzo  “Smart” ovvero vincenti per la maggioranza dei giocatori.

Perché ogni perseguimento ha un costo e,  nel caso in oggetto, era la perdita dell’anima, intesa come privacy, identità, abitudini, segreti personali.

Tutto questo, alla fine, potrebbe venir ricondotto a un mero problema di metadati, oggetti destinati al trasporto di informazioni (tutt’altro che secondarie, considerando che, oltre ai programmi di Governi e Multinazionali, esiste anche un fiorente mercato nero dei dati personali).

A farla breve la situazione planetaria sembrava destinata risolversi in una fanta-metafora dove ogni tecnologia di sorveglianza antiterrorismo concorreva ad un pervasivo sistema di controllo e quella stessa tecnologia usata con tanta disinvoltura e inconsapevolezza si stava ritorcendo contro intere generazioni di “analfabeti digitali”.

Ritornando al potenziale impatto della tecnologia (web) non esisteva all’epoca spot, aziendale o governativo che non promettesse una rivoluzione prossima ventura.

Peccato però che il sapore di questa propaganda era molto più vicino a quello di un cibo adulterato che non corrisponde esattamente all’etichetta della confezione, un po’ come assistere al leader di una nota protesta popolare lasciare il comizio e dirigersi “a palazzo” su di un’auto di lusso.

thefinalfrontier1002Una rivoluzione viene automaticamente “depotenziata” quando si arriva a confondere i contenuto con il vettore, citando un  noto aforisma tratto dal Libretto rosso di Mao Zedong: “La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo […]. La Rivoluzione è un atto di violenza”.

Ma, allora, perchè non immaginarsi una soluzione un po’ meno sanguinaria di una rivolta di piazza?

Un primo passo avrebbe potuto essere quelli di “convivere consapevolmente” con le nuove tecnologie, ad esempio, sparire dal web, o perlomento divenire meno “visibili”, adottando una sorta di dispositivo di occultamento…

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